I processi neurali messi in campo variano sensibilmente in base al tipo di musica suonata e alle sue caratteristiche: ecco perché, anche per un professionista, è difficile "cambiare pelle".
Per un profano della musica può sembrare naturale che un pianista passi con disinvoltura dai brani classici a quelli jazz. Ma nella realtà non è facile come si potrebbe pensare, nemmeno per un professionista con decenni di esperienza.
Ora uno studio pubblicato su NeuroImage spiega che questa difficoltà ha una precisa ragione neuroscientifica: quando un musicista jazz e uno classico suonano il piano, i loro cervelli sono impegnati in processi molto diversi - anche se il brano è lo stesso.
ESIGENZE SPECIFICHE. Il motivo è da cercare nelle diverse abilità che i due generi impongono: eseguire magistralmente un grande classico con il proprio, personalissimo stile; o lasciare spazio all'improvvisazione creativa. Il cervello si specializza nei processi che le diverse richieste impongono, e passare a quello opposto non è così immediato.
QUALI NOTE O QUALI DITA? Secondo gli scienziati del Max Planck Institute for Human Cognitive and Brain Sciences di Lipsia (Germania), autori dello studio, tra chi si cimenta nei due generi c'è una differenza essenziale in fatto di pianificazione dei movimenti. Indipendentemente dal genere, di solito suonare il piano richiede che si pensi a quali tasti premere e a come farlo (cioè quali dita usare per ognuno).
Gli scienziati hanno notato che i pianisti classici si focalizzano sul secondo processo - quali dita posare sui diversi tasti: l'obiettivo è suonare brani intramontabili alla perfezione, curando la tecnica e aggiungendo espressività personale. Il cervello dei pianisti jazz si concentra invece più sul "cosa" (quali tasti?): è sempre pronto a improvvisare e creare nuove, inaspettate armonie.
A CIASCUNO IL SUO. Quando i ricercatori hanno chiesto ai pianisti jazz di creare un accordo inaspettato all'interno di una progressione di note standard, il loro cervello ha preso a ragionare più velocemente di quello dei colleghi. I musicisti classici, al contrario, hanno ottenuto punteggi migliori quando è stato chiesto di usare posizioni delle dita sui tasti non convenzionali.
Gli scienziati hanno poi confermato le differenze monitorando l'attività elettrica cerebrale di 30 pianisti professionisti, metà dei quali con una formazione solamente classica, e l'altra metà con almeno due anni di esperienza come pianisti jazz.
I musicisti hanno dovuto imitare i gesti di una mano che suonava il piano sullo schermo di un pc (senza audio, per evitare interferenze) e che commetteva errori nelle armonie o nella posizione delle mani. Nel riprodurre i movimenti, i volontari hanno dovuto rimediare e reagire agli errori disseminati apposta. Ogni gruppo ha ottenuto performance migliori nella propria "specialità".
Fonte:
Focus.it